A chi sta dentro gli esami di stato …
– da Cristiana La Capria –
Credete che gli esami di stato siano sensati? No, dico, il modo in cui si procede a valutare i candidati, è corretto? porta ad un risultato congruo e soddisfacente, secondo voi?
E’ risaputo che coloro che hanno sgobbato per tutto il percorso scolastico possano fare cilecca all’esame di stato e si beccano una votazione che sta sotto le loro aspettative, come è altrettanto risaputo che chi ha la fama di fannullone potrebbe spiccare davanti alla commissione. E allora che si fa? Ci si rassegna – risponderà qualcuno – pensando semplicemente che lo scontento sia parte integrante di qualsiasi esame o prova di studio. Tuttavia io vorrei provare a mettere in discussione la logica che fonda l’organizzazione dell’esame di stato così come lo conosciamo. Io vorrei fare delle domande a noi docenti, chiamati a valutare gli studenti e le studentesse, io vorrei chiedere a noi stessi: ma quando valutiamo la candidata, quali criteri di analisi mettiamo in atto? Ovviamente la risposta sarà: dipende.
Da cosa? Dalla posizione che occupi nella commissione. Se sei “interna” conosci la candidata, sai quanto e come ha studiato nel corso degli anni passati e tenderai, durante le prove, a volere far coincidere l’immagine che ti sei fatta dell’alunna con l’immagine che l’alunna dà di sé stessa al momento dell’esame, quindi sarai costernata oltremodo se costei è solitamente brava ma non ne dà prova alla commissione, oppure rimarrai stupita del bagliore di bravura dimostrato dall’alunno che di solito è un ciuccio. Se invece sei “esterna” riceverai una panoramica della classe prima dell’avvio degli esami ma dovrai, comunque, valutare la prova in sé, sia essa scritta sia essa orale, senza sovrapposizioni emotive dovute al passato. Potremmo dire che il “membro esterno” analizza la performance e quindi il presente della candidata, mentre il “membro interno” ne considera per lo più il pregresso impegno, quindi il passato.
Il punto, però, è che in sede di esame la commissione riceve già una serie di documenti che raccontano in termini numerici il valore dell’impegno scolastico del candidato negli anni precedenti (i famosi crediti). A tale valore numerico la commissione andrà ad aggiungere il valore dell’esito delle prove d’esame di cui si valuta il contenuto, la correttezza, l’originalità e la capacità di reggere il peso della tensione, la capacità di confronto e di esibizione del proprio bagaglio di sapere davanti ad un gruppo di esaminatori, in pratica quella che veniva chiamata la sua maturità. Quindi a che scopo ci sono i membri interni? Non uno, ma più di uno?
A che scopo formare una commissione di insegnanti costituita da metà interni e metà esterni? Invece che essere garanzia di equità, questo tipo di commistione è quasi sempre sintomo di ambiguità. Se la candidata solitamente brava scrive un saggio breve involuto formalmente e scorretto concettualmente, avrà una valutazione commisurata. Oppure bisogna considerare anche l’impegno e i successi ottenuti nel suo passato scolastico, e questo deve influenzare il voto? Perché molto spesso la commissione di esami diventa un posto dove l’intenzione sarebbe quella di garantire un equilibrio di giudizio, nei fatti si trasforma in una sorta di trincea in cui ciò che dice l’interno non coinciderà quasi mai con ciò che dice l’esterno e la mediazione che ne deriva sarà solo un modo per non esasperare il conflitto tra le parti. Quello che ne risulterà di solito sarà una delle due tipologie: o una commissione austera che farà valere soprattutto il peso dei membri esterni che giudicheranno l’esame della candidata con rigore logico e indifferente al suo trascorso esistenziale e scolastico, oppure una commissione comprensiva che giudicherà teneramente la performance della candidata, facendo moltissima attenzione ai racconti dei membri interni sulle sue vicende di studio e di vita. Il risultato sarà una valutazione troppo generosa o una valutazione troppo severa.
Non va bene.
Bisogna scegliere chiaramente e senza ambivalenza il criterio di giudizio. Meglio dare spazio all’intero percorso di studi della candidata? Benissimo, allora si chiederà alla nostra candidata un lavoro di approfondimento finale al quale non si farà che confermare, più o meno, la valutazione già assegnata; quindi la commissione sarà composta solo da membri interni.
Altrimenti, se oltre al pregresso del percorso di studi si vuole valutare anche la capacità della candidata di sostenere una prova di esame, allora si assegna con dei crediti il valore del percorso di studi ma, a questo punto, la commissione giudicatrice sarà fatta solo da membri esterni, magari con un solo interno che funzioni da raccordo. Gli esterni valutano come la candidata si sia pre-parata per l’esame, ovvero, parafrasando la origine etimologica latina del termine, come la candidata si sia organizzata in anticipo la sua difesa (fatta di saperi e abilità) davanti a un gruppo di esperti mai visti prima in vita sua.
Fino a quando si manterrà una commissione mista, sarà misto anche il senso pedagogico nascosto dietro l’esame di Stato: la candidata un po’ va protetta dalle intemperie dell’ignoto e un po’ va esposta all’ignoto. Un po’ va difesa e un po’ va offesa. E quelli della commissione, più che confrontarsi, sono messi il più delle volte nelle condizioni di litigare, a volte anche di brutto. Ma la valutazione e i suoi criteri sono legati a ben altro discorso pedagogico. Quindi temo, ahimè, che gli esami di Stato, così come sono, siano tutt’altro che una cosa seria!
Cristiana La Capria
condivido l’analisi che mi sembra lucida. In attesa di riforme ulteriori dell’esame di stato, la soluzione più prosaica mi sembrerebbe qs:
a. in sede preliminare i membri della commissioni si dicono prima qs semplice cosa: il passato è già “pesato” dai cosiddetti crediti. Quindi il portato del lavoro precedente è stato già “offerto” dai docenti che hanno portato in quinta l’alunno e lo hanno ritenuto degno di essere sottoposto all’esame di maturità;
b. quindi l’esame valut ala performance del momento. Ovviamente anche questo “si dicono” i membri della commissione. E prima della definzione del voto sia sugli scritti, sia sull’orale, definiscono i criteri di valutazione e le soglie che definiscono i punteggi, in modo da ricondurre la performance a parametri numerici il più adeguati possibile.
Sono totalmente d’accordo. Paradossalmente per le esperienze a suo tempo avute, come studentessa prima e come docente poi, preferisco il modello di esame post ’68, con un solo membro interno con la funzione di garante e la commissione in schiacciante prevalenza di esterni. Forse con un minor numero di materie da portare, da parte del candidato.? In modo che l’esame possa risultare un’esperienza formativa, non un gioco al massacro. Io penso che questa “prova” debba essere in qualche modo sostenuta. L’esame non può consistere nella sola ratifica del rendimento del triennio finale. Allora meglio non imporlo.
Cara Cristiana, hai espresso con chiarezza l’imbarazzo di ogni esaminatore nel dover scegliere l’accondiscendenza o l’autonomia intellettuale durante la valutazione degli alunni agli esami di Stato. Chissà cosa ci aspetta quest’anno. L’augurio è una presa di posizione, abbandonare la diplomazia all’italiana che porta a scontentare tutti. Il focus dovrebbe essere il valore che quest’esame deve assumere per ogni persona che lo affronta e per la società tutta. Personalmente direi che si dovrebbe trattare della prima prova da adulti, dove ciò che conta è arrivare preparati ed essere capaci di dimostrare la propria preparazione. Poi si sa che nei veri esami contano anche un po’ la fortuna e l’autocontrollo e siccome questo è e questo sarà, può essere utile prenderne consapevolezza a 19 anni.