Racconti di Scuola

A TESTA ALTA

-di Emmanuelle Bercot, Francia 2015, durata 120 minuti –

A CHI: A chi è genitore, a chi ama l’educazione

PERCHE’: per tenere presente che la cattiva educazione è spesso più potente di qualsiasi buona rieducazione. Per fare molta attenzione alle relazioni con i minori, per onorare chi se ne occupa con saggezza e lo fa per passione, per lavoro o per tutte e due le cose.

 

IL FILM: Non tenere la testa bassa, non stare giù a guardarti la punta delle scarpe. Forza, stai su, alza la testa. Il ragazzo non ascolta, sta imperterrito a fissare il pavimento, chiuso nel cappuccio della felpa, le mani in tasca. La giudice lo incontra spesso, sono alcuni anni ormai che prova ogni misura di recupero. Ma il caso è complicato. Siamo davanti a immagini che ci mettono a contatto immediato con la sfera di cui molti parlano, di cui pochi sanno: quella dei ragazzi difficili, quelli che hanno la madre che li ama a modo suo, che non hanno una guida, un riferimento, un ordine, una relazione costante, un posto pulito dove dormire, un banco a scuola, dei legami sani. Il protagonista fa ruotare la cinepresa intorno ai suoi occhi di ghiaccio, i capelli delle cenere mai pettinati, le unghie rosicchiate, la voglia di rubare, di picchiare, di spingere la vita, di superare i limiti. E ogni volta che sembra si sia trovato il binario giusto, il ragazzo esce fuori; nessuno lo mette in riga. Una coetanea, però, con i suoi baci ruvidi lo trascina verso un’esperienza di responsabilità anche se gli alti sono meno dei bassi, le cadute sono più delle salite. Le contorsioni e le involuzioni del comportamento fanno star male chi osserva che si identifica volentieri nella donna che per mestiere è implicata nella cura del ragazzo difficile; la giudice del tribunale per i minori; lei è la figura saggia, sana, seria, interessata vivamente al giovanotto. Ma il finale non è lieto. Un film realista eppure poetico sulla bellezza e sulla acuta difficoltà di recuperare, rimediare, sanare le ferite di un rapporto familiare venuto male. Non c’è centro specializzato, sistema di sostegno sociale, progetto di recupero che tenga quando si è di fronte al potere di una mamma che c’è e non c’è, che ama e scappa, che si abbarbica come una bambina ai piedi del figlio e piange chiedendo aiuto. Con una madre così, il ragazzo ha un futuro difficilmente controllabile. Alcuni fotogrammi sono veramente irraccontabili. Come quelli che tratteggiano il legame onesto, denso e responsabile che la donna giudice nutre con il minore, anno dopo anno, nel freddo scomposto del suo ufficio. Gli occhi del ragazzo, che fa proprio di tutto per non conquistare la simpatia di chi lo guarda, si sollevano per guardare lei, gli occhi dell’unica donna che prova a segnare per lui le piste giuste da seguire. Ce la farà? Niente è scontato. L’ambivalenza della storia rispecchia crudamente molte storie vere. Da vedere per tenere alta la testa e fissare in profondità storie di insana sofferenza che, a migliaia, abitano il nostro territorio di adulti miopi.

Cristiana La Capria

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