-da Cristiana La Capria –
Vorrei dedicare questa mia esperienza a tutte le donne, piccole e grandi, che fanno finta di niente quando si parla di stupro.
Siamo riunite in cerchio, proprio nel mezzo dell’aula che sembra ancora più grande per la forte luce del sole. Siamo due docenti e circa una ventina di alunne sui diciassette anni. Ci conosciamo ancora poco, è solo da un mese che insegno nella loro classe, siamo distanziate dall’età e dal ruolo ma lì, in quel preciso momento, io lo sento il legame, si può tagliare con il coltello lo spessore che ci lega, noi tutte ugualmente strette dalla pesante condizione di paura e rabbia verso quelli che fanno violenza alle donne. Hanno scritto un articolo di opinione che aveva a tema lo stupro e le possibili soluzioni alla sua incessante penetrazione nelle nostre vite. Data la delicatezza del tema e del modo con cui molte di loro ne hanno scritto, ho creduto importante dedicare uno spazio di discussione e di confronto. Siamo in cerchio, dicevo, ma un filo di soggezione e imbarazzo trattiene la parola. La regola è che parla chi tiene in mano una pallina di carta. Inizio io e domando loro se condividono la posizione di alcune compagne secondo cui il modo di vestire di certe donne è un’esca per i violentatori, cioè se ti metti la minigonna inguinale, un po’ te le vai a cercare le rogne… E’ forse vero? Alcune rimangono in silenzio a pensare, altre si scagliano con decisione contro la convinzione che chi si veste provocante allora provoca la reazione violenta dell’uomo perchè le violenze ci sono anche per quelle che corrono in tuta e anche per quelle di settant’anni. Una di loro, italiana, ha riportato nel suo articolo l’esperienza di stupro di una sua amica, le chiedo se abbia voglia di condividerla con il gruppo, ma lei non ci riesce, si allontana in lacrime dall’aula. Intanto la timidezza si scioglie, le altre parlano lasciando passare le emozioni. Una, di provenienza africana, racconta che al suo paese i suoi vicini di casa, molto poveri, hanno venduto la figlia di otto anni a un uomo di quaranta che la ha sposata e le ha fatto violenza fino a che lei non ce l’ha fatta, è morta. Ma non è vero che questo succede solo nei paesi africani, dice un’altra. Queste drammatiche vicende ci sono pure in sud America, il suo paese; lei ricorda che nella sua scuola elementare le bambine sparivano, le rapivano, le violentavano ed era inutile chiamare i poliziotti perché quelli erano e sono i primi a stuprare le bambine. Mentre racconta ha gli occhi bagnati. Anche la mia collega racconta un episodio di violenza sessuale capitata ad una sua alunna. Le esperienze si incrociano, si abbracciano, ci abbracciano. Poi squilla la campana. In un’ora di lezione è capitato di più di quanto potrebbe capitare in dieci di lezioni su Dante (con tutto il mio grande rispetto per lui).
Ecco fatto. Io le mie alunne le voglio ringraziare per non avere fatto finta di niente. Ormai non ci guarderemo più con gli occhi di prima. E questo, per noi, non è che l’inizio….