Ai genitori che hanno paura di sbagliare …

da Cristiana La Capria –

Dedico questa lettera ai genitori che sono super presenti nella vita scolastica dei propri figli/e.

Quando si tratta di seguire i compiti da fare a casa i genitori o ci sono troppo o non ci sono per niente. Tra i due estremi ritengo che sia migliore il secondo caso: che i genitori si facciano da parte.

Fin dai primi anni di scuola elementare gli alunni e le alunne imparano ad acquisire il senso del tempo, la durata delle azioni, l’organizzazione in sequenze degli esercizi da fare, la progettazione delle attività quotidiane. Per tale motivo principale i genitori sono richiesti di continuare a casa con il proprio figlio o figlia il lavoro di preparazione e di avviamento all’autonomia di studio già promosso dall’insegnante a scuola. Nel corso del tempo sarà magari necessario che lo studente o la studentessa siano seguiti nelle loro esercitazioni di lettura ad alta voce, di ripasso orale di alcune materie o di allenamento a certe tipologie di ragionamento. Invece cosa succede?

O i genitori sono totalmente assenti e in tal caso il lavoro a casa viene svolto poco e male oppure non viene svolto affatto perché il piccolo o la piccola principiante sono stati abbandonati alle intemperie della solitudine che di certo non giovano al loro apprendimento, oppure – caso poco diffuso ma accade –  lo studente o studentessa in erba si dà da fare per conto suo e, udite udite, se la cava più che bene. Moltissime altre volte però, capita che il genitore è presente nella vita scolastica del figlio/a fin troppo, al punto da divenire assillante, pericolosamente opprimente. E allora, invece che affiancarlo/a nei compiti o ascoltare come ripete a voce alta la lezione di scienze, detta le risposte di grammatica, spesso le scrive direttamente di suo pugno sul quaderno, suggerisce la frase da pronunciare ad alta voce per l’interrogazione del giorno dopo, esegue la ricerca di fotografie da ritagliare per il cartellone di storia, disegna con la sua bella matita personale la cartina geografica dell’Italia. Questa tipologia di genitore è sempre più diffusa, si mette al posto del proprio figlio/a come se ad essere interrogato/a fosse lui o lei; come se il voto registrato dall’insegnante andasse al papà o alla mamma, non al piccolo o alla piccola allieva. Questi genitori controllano fin nel minimo dettaglio che i figli abbiano fatto bene tutti i compiti perché se poi prendono un brutto voto e vengono sgridati dalla maestra è come se il voto cattivo e il rimprovero andasse a loro. Questi sono i genitori che invece di affiancare i figli ne divengono i sostituti, impedendogli di vivere la fisiologica frustrazione dovuta al rimprovero per un compito sbagliato o un esercizio dimenticato. La bambina o il bambino devono sempre andare a scuola preparati e ben protetti dall’errore, questo è il loro motto.

Invece vorrei ricordare che i compiti sono uno spazio di riflessione, di approfondimento, di allenamento che l’insegnante prepara perché lo studente o la studentessa possa lavorarci quando è a casa.

Quindi i compiti, a partire dalle scuole elementari, dovrebbero essere una zona di connessione tra ciò che si è fatto  in classe e ciò che è necessario proseguire  nello camera da studio. Essi sono anche una specie di cordone ombelicale che mantiene il legame tra l’alunno/a e la maestra, perchè riportano a casa i colori, le sensazioni, i suoni dell’esperienza vissuta in classe con l’insegnante e i compagni/e e chiedono poi un lavoro di rielaborazione e di approfondimento individuale. I compiti non sono e non possono essere qualcosa di completamente nuovo, altro, estraneo a quanto già sperimentato in aula. Le insegnanti questo lo devono sapere, non possono assegnare chili di compiti su temi non trattati in classe pensando che poi a studiare saranno i genitori, No, non va così. I genitori devono affiancare i figli allo scopo di avviarli all’autonomia di studio, avviarli non vuol dire sostituirsi a loro. Cari genitori lasciateli sbagliare, lasciate che vengano rimproverati per avere scopiazzato il compito, va bene così: prepara alla vita. Lasciate anche che qualche volta non capiscano la lezione e non sappiano fare l’esercizio, chiederanno il giorno dopo chiarimenti all’insegnante che dovrà pur servire a qualcosa e a qualcuno, in fin dei conti.

Cristiana La Capria

Insegna appassionatamente lettere in una scuola secondaria di secondo grado. Si interessa di pedagogia delle differenze e studia il potenziale educativo di cinema e narrativa. Si occupa di formazione degli insegnanti. Scrive saggi e ultimamente testi di narrativa.

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3 risposte

  1. Silvana ha detto:

    sono d’accordo, i giovani allievi dovrebbero essere incoraggiati all’autonomia e alla programmazione del proprio tempo e i genitori troppo protettivi dovrebbero tenere a freno la propria ansia di controllo, supervisione e di semplice supporto. La realtà è che fare i genitori non è facile, bisognerebbe regolarsi in base alla maturità di ciascun figlio, mentre è più comodo adottare il comportamento che ci viene più congeniale. Capisco che un genitore che “collabora” eccessivamente ai compiti dei figli possa creare qualche inutile interferenza, trovo però ancora peggio quel genitore che nasconde dietro un atteggiamento di delega alla scuola una indifferenza di fatto verso quello che succede in classe e nel doposcuola. Mi sbaglio o questo comportamento è in crescita, vuoi magari favorito dalla stanchezza, dallo stress, dalle preoccupazioni in questi tempi difficili?

  2. Maometto ha detto:

    Condivido il ragionamento della lettera a noi genitori. Ma essa è adeguata per una condizione ottimale. Ovvero per uno studente che sia adeguatamente dotato dei pre requisiti per affrontare il percorso scolastico. Il che significa frequentare con disinvoltura l’apparato logocentrico della scuola:
    a. lezione orale (quindi con sviluppate capacità di decodificare un messaggio da parte del docente parlante-spiegante, e successiva attività di rielaborazione);
    b. testo scritto (quindi con capacità di lettura dei segni, di decodificazione degli stessi e di uso operativo ai fini della riproduzione di messaggi, idee, ecc.)
    c. ripetizione orale di fronte all’insegnante o alla classe

    Se uno studente (in modo proporzionale alla sua età) possiede ciò, allora DEVE lavorare autonomamente e il compito dell’adulto si deve configurare come sollecitatore al lavoro autonomo (quale bambino/a normale preferisce i compiti al gioco e al cazzeggio?) e supervisore.

    Ma se la frequentazione degli strumenti logocentrici (parole e, soprattutto, scrittura alfabetica) è inceppata, credo che il ruolo dell’adulto (prima dell’insegnante e poi del genitore) debba essere rivisto in senso più interventista. Ovviamente bisognerebbe chiarire le modalità di questo intervento. Sicuramente la scuola (tranne le solite lodevoli eccezioni) non è attrezzata per fare ciò.

    Per un’analisi degli effetti della scrittura alfabetica sulla “mente” mi permetto di suggerire il libro di Carlo Sini: “Etica della scrittura”.

    Ringrazio comunque molto per la riflessione.

  3. . Molto opportunamente scritto, niente di più niente di meno

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