Quasi nove anni fa la mia classe, l’incandescente II^B della Scuola Leonardo da Vinci di Saronno, ebbe la geniale idea di regalarmi un gatto. Quando mi comunicarono la notizia, stavo svenendo. Un gatto? A me che apprezzavo solo i cani? A me che vivevo da sola in un appartamentino in affitto nel cuore dell’inverno? A me, incartocciata nei miei drammi esistenziali, avvolta nelle mie scartoffie, sarebbe dovuto arrivare un gatto da curare? Un essere peloso e graffiante, un felino? Noo, non se ne parla proprio. Non avevo un uomo accanto a me, figuriamoci un gatto! Ma loro, gli alunni e le alunne avevano già compiuto il fatto: il gatto era stato preso già, apposta per me. Sì, prof, lei è da sola qui in città, ha bisogno di un amico, abbiamo pensato che un animale potrebbe aiutarla; il gattino lo abbiamo preso ieri all’ENPA, è giovane, ha solo sette mesi, è buono, è tigrato. Adesso è nascosto nella mia camera, in una scatola sotto il letto e se lo scopre mia mamma … Non può dire di no, deve tenerlo, ormai, dice la mia alunna Silvia. E poi abbiamo fatto la colletta, urlano in coro gli altri, con i soldi raccolti abbiamo comprato gli addobbi per il micio: il collare, la palla, le ciotole, tutto. E così fui costretta ad andare all’appuntamento per il ritiro; era un gelido pomeriggio di febbraio quando incontrai nella piazza dell’ospedale un gruppetto che, in rappresentanza della classe, mi consegnò l’animaletto in un grazioso trasportino colorato. Ero in compagnia della mia collega e amica Tina Borghi, indispensabile per un sostegno psicologico durante l’operazione di consegna che mi procurava uno stato d’ansia insostenibile. Dal trasportino uscì un quadrupede gigantesco, altro che gattino, sembrava un adulto fisicamente maturo, imponente, massiccio; la cosa mi turbò. Ma appena incrociai i suoi occhi rimasi di stucco, stupefatta, imbambolata; lui, in un solo istante, mi incapsulò dentro il suo sguardo denso: non avevo vie di uscita. Si chiamava Tommi ma io sentii il bisogno di chiamarlo Giulio. Da allora è stato il mio convivente, il mio collega, il mio compagno, il mio amico; abbiamo cambiato molte case, destinazioni, abbiamo viaggiato lungo percorsi tortuosi, a volte cupi, a volte chiari. Qualche giorno fa è morto, così, in fretta, con silenziosa sopportazione, come era nel suo magico stile. Io dico grazie ai miei alunni e alle mie alunne di II^B che mi hanno permesso di imparare una nuova lingua per entrare nel mondo dei gatti. Con quel gesto spontaneo loro, devono saperlo, mi hanno proprio cambiato la vita. Perché la relazione con un gatto, come con qualsiasi animale, non va paragonata a quella con gli umani. La relazione con un animale è la relazione con uno che è altro, che è completamente altro da ciò che sta nei tuoi pensieri, nelle tue aspettative, nelle tue brame: l’animale non è un giocattolo, non è un bambino, non è un fratello, non un cuscino. E’ altro da te. Tu impari a rispettarne la differenza, a mantenere le rispettose distanze senza manipolare, controllare, plasmare a tua immagine lui. Perché lui con te non lo fa, perché il gatto mantiene il rispetto per il confine, non prova a travolgere la tua identità ma si mette in contatto con te, però. E lo fa usando un linguaggio che non è il tuo. Tu ci provi a fare la traduzione, ma che ne sai che è quella esatta? Conta che tu umano e lui gatto comunicate in lingue diverse che riescono a incontrarsi a metà strada; chissà quanto lui sa di te e quanto tu di lui? Alla fine, davvero, non lo sapremo mai. Meno male. Il legame con un gatto salta la barriere del possesso, della certezza, del piatto ripetersi delle cose. E’ un legame che passa tramite altri canali, che segna, che cambia, che resta. Lui sta altrove rispetto ai tuoi pensieri, lui va altrove e, se vuoi, ti porta con lui. Il rapporto con un gatto vive di differenza, forma alla differenza e si insinua negli spazi del tuo quotidiano, riempiendo vuoti, sciogliendo nodi. Oggi senza Giulio mi pare di essere senza un braccio ,una mano, un pezzo di storia. Lo rivorrei daccapo. Lo rifarei daccapo. Perché, come ogni relazione formativa forte, fa bene. Alle bambine e ai bambini, soprattutto a loro vorrei augurare di iniziare una relazione con un gatto, con un cane, un coniglio; qualcuno che non soffra in spazi chiusi o in piccoli spazi aperti, qualcuno che insegni loro una relazione che non si può spiegare a parole perché non è fatta di parole e forse proprio per questo educa alla responsabilità e alla generosità nella cura. E quando la relazione finisce, fa male. Ma fa parte della storia. Grazie alla II^B.
Cristiana La Capria