– da Cristiana La Capria –
Cara alunna,
ti ringrazio per avere scritto a noi professoresse una lettera così profonda, sentita.
Vorrei provare a risponderti dopo avere riflettuto sulle tue parole e dopo essermi confrontata con altre colleghe sulla importante questione che tu poni.
Mi viene subito da dire che chi lavora con le giovani generazioni deve sicuramente essere molto preparata a gestire una relazione ancora prima che a valutare un compito e assegnare un voto. Chi considera voi alunne e alunni un numero, ha sbagliato mestiere e, purtroppo, di errori del genere ce ne sono parecchi in giro.
No, la scuola non è un posto dove andare con l’ansia di essere giudicate dopo avere sostenuto la tensione di una prova; non è un puro laboratorio di analisi, di verifiche, di test, di questionari, di cifre, di medie, di valutazioni ; queste sono parole abusate e sono il risultato di processi che di per sé dicono poco e possono rovinare molto del senso del lavoro svolto in una classe. Si tratta di procedure che vanno maneggiate con enorme cura e non catapultate come pioggia al vento sulle teste di chi sta sui banchi.
Hai ragione, la scuola non può essere solo un posto dove si mettono dei numeri per giudicare una studentessa.
La scuola non è neanche un posto dove definire le linee di competenze utili ad un futuro professionale specifico che la docente insegna con distante tecnicismo, perché posti del genere sono lo studio di un avvocato, l’atelier di una designer, la sartoria. No, la scuola e chi dentro ci insegna non può, non possono essere confuse con altre professioni e altri spazi.
Per questo motivo la scuola, cara alunna, non può neppure essere quel posto in cui si insegna a sorridere quando si vorrebbe piangere, si insegna a calmare le paure, a sopportare le perdite, a sostenere le sconfitte, a gioire della bellezza. Un posto così potrebbe essere in parte chiamato famiglia, in parte chiamato centro di ascolto. Un posto così, anzi, secondo me non esiste neanche. Perché non esiste al mondo nessuno che possa riempire i nostri vuoti, insegnarci a sopportare la paura di soffrire e di fallire, a reggere il dolore di una perdita. Possiamo avere la fortuna di avere chi ci accompagna nel percorso come un genitore o un’amica, ma sarà l’esperienza, e solo lei a formarci nel tempo. Qui è l’esperienza la professoressa di vita.
E allora cosa è la scuola?
La scuola, secondo me, è un posto che sta all’incrocio tra il dentro e il fuori della vita quotidiana, tra il chiuso e l’aperto del mondo, tra l’insegnare e l’imparare, tra le docenti e le studentesse, tra il piacere e il dovere, tra il tempo contato in ore dalla campanella e il tempo che scorre fluido per il resto della giornata. La scuola è fatta per metà dalle professoresse e per metà dalle alunne che sono tutte, in egual misura ma in modo diverso, parti attive del percorso. Quale è il nostro cuore? Verso quale meta tendiamo?
Il sapere è ciò che vogliamo.
Il sapere, anzi, la passione per il sapere è il nostro più alto obiettivo: noi docenti lavoriamo per renderlo vivo e denso, non insignificante come tu hai lamentato. Appassionarvi al gusto della scoperta di tempi lontani, provare piacere nell’ascoltare un buon racconto, allenarvi a prendere posizione di fronte alle brutture della guerra, sostenere una costruttiva indignazione, evitare l’assuefazione alle stragi, alle violenze, all’ignoranza. Tutto questo non sta scritto in un manuale ma passa nel corso delle letture, dei giochi, delle riflessioni, degli scritti che marcano il percorso di studio, che saltano fuori durante le lezioni. Ecco, questo possiamo e dobbiamo fare noi professoresse: insegnarvi ad amare lo studio del mondo, ma non uno studio alla fine del quale ci chiediamo a che serve? Perché la scuola non deve rispondere immediatamente a domande di tipo operativo e pratico. No, non ancora. La scuola non risponde alla domanda a che serve? La scuola pone domande, aiuta a fare domande, a cercare, a inseguire ciò che ancora non sia sa. La scuola deve rimanere un posto dove il possibile e l’impossibile restino uniti, dove la magia di una poesia o la perfezione di una equazione di secondo grado siano lo spazio della vostra conoscenza, e che dovrebbe essere una conoscenza posizionata ad un livello diverso e ad un piano diverso, un piano a cui non arriva né il gruppo di amiche, né la famiglia, né internet. E’ il piano del sapere e noi professoresse siamo le mediatrici, la via di incontro tra voi e il sapere.
Noi possiamo indicare delle direzioni, ma a farne sangue per le vostre esperienze di vita sta solo e soltanto a voi…
Allora, ancora un ringraziamento per avere dato a noi docenti una spinta a pensare al senso della nostra professione, ai limiti e agli orizzonti del nostro lavoro.
Cara Martina e care alunne: vi auguro un viaggio pieno zeppo di avventure e anche di mappe per decifrarle!
Cristiana La Capria