Racconti di Scuola

Così non funziona

– da Pasquale Caputo –

 

 

Stavo riflettendo su una frase, che qualche tempo fa mi aveva colpito profondamente: “Educare è il punto in cui si decide quanto si ama il mondo, per assumercene la responsabilità”.

Sono nato in una famiglia d’insegnanti, mio padre e mia madre hanno speso la loro vita per la stessa causa, formare ed educare individui, e adesso penso a come sarebbe strano ritrovarmeli in un consiglio di classe. Sono passati quasi 14 anni da quando, timoroso, davanti ad una classe di 22 allieve, per la prima volta ho varcato l’ingresso e poi ho fatto l’appello e poi tanti, tantissimi ricordi, fino ad oggi . Ora,se ripenso a mio padre, cerco di dare senso, ogni volta, a quello che faccio. Come studente non sono mai stato un granché, ma lui mi ripeteva spesso il suo significato di studio: “Studiare serve a essere liberi” ed in fondo la scuola è stata questo per me: imparare sul campo il significato e il perimetro della parola libertà. Insegnare è solo passione, sempre passione che ti muove e ti dà l’energia per andare avanti. A volte ci rinuncio, mi manca il carattere, vedo gli effetti e la causa di comportamenti sbagliati nei miei ragazzi e non ho la pazienza di cambiarli. Non ho un Dirigente da due anni, o meglio esiste sulla carta, ma non ha il tempo di discutere con me il senso della nostra Offerta Formativa. Ho visto, da quando sono dentro, la scuola pubblica smantellata pezzo per pezzo, gli insegnanti annichilirsi anno dopo anno, riforma dopo tagli e contro-riforma e ancora un po’ di tagli. E, in parallelo, il nostro Paese perdere grinta, ambizione, interesse per la cultura, sarà la crisi. Ho cominciato a registrare la frequenza di certe massime come: «La scuola non serve a niente» e di contro le nuove Grilline:“A una scuola pubblica peggiore può corrispondere solo un Paese peggiore”.  Di insegnanti, come mio padre, che ho avuto – fiduciosi, realizzati – in giro ormai ne vedo ben pochi. Conosco troppi precari. La parola «graduatoria a esaurimento» ricorre con lo stesso alone sinistro di“ oramai è cosi dappertutto”. I nuovi insegnanti sono ostaggi del tempo e dei punti, che devono collezionare per scalare una misera posizione in graduatoria. Sfruttati, ricattati, precarietà su precarietà, e per chi è di ruolo, beh la gratificazione del blocco degli scatti di anzianità e dello stipendio, che meriti vuoi di più!

C’è un senso di frustrazione che ti attanaglia ogni mattina, ed è quello che ti leggono in faccia gli studenti, quando dovresti trasmettere loro energia, fiducia, curiosità. E dire che mia madre, a soli vent’anni, dopo aver vinto il concorso di Stato era già di ruolo. Cos’è successo nel giro di un paio di generazioni alla scuola pubblica? Non basta una vita per insegnare, non bastano quarant’anni di servizio per arrivare a saperlo fare davvero (me lo ripeteva il mio prof di Latino- un prete N.d.R.). Come puoi dire ai tuoi studenti che il futuro si costruisce a partire dalla scuola? Meglio lasciare tutto! E che i sacrifici ripagano? Mia moglie ha vinto un Concorso a Preside, studiando tutti i giorni per un anno, dalle 5 alle 8 di mattina, prima di entrare in classe, e poi appena tornata da scuola fino a notte inoltrata. Adesso bisogna, solo, dimostrare a tutti i Tribunali di Giustizia Italiani ( e sappiamo quanto bene come funzionano) che i sacrifici erano contenuti in una “busta trasparente” dentro laquale c’era il nome e cognome dei concorrenti! Chi non fa sacrificio, non fa esperienza diceva mio padre e lo studio serve sì ad essere liberi, ma liberi da una scuola che cosi non funziona.

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