– di Anna Muylaert, Stati Uniti 2015, durata 1h 54 m –
Il gioco dei posti
A CHI: Alle figlie, alle madri, alle colf e alle loro datrici di lavoro.
PERCHE’: Le docenti lo mostrino alle alunne dai tredici anni in su per aiutarle a fare domande, per aiutarle a darsi risposte. Ma anche per farsi sorprendere dal modo in cui una figlia insegna alla madre a cambiare vita; per apprezzare il complicato intreccio di ruoli che muovono i rapporti di amore e, soprattutto, i meccanismi accesi dall’invidia.
IL FILM: E’ una donna, non a caso, a firmare la regia di questo film che riprende il grande e il piccolo segno dei legami sanguigni, le smagliature e i tatuaggi del tessuto di cui sono fatte le relazioni al femminile. La faccenda che forma l’intreccio è in sé comune: una signora molto ricca con una bella villa e una famiglia poco unita tiene al proprio servizio, notte e giorno, una colf con cui intrattiene un rapporto di rispetto e affetto che dura da molti anni. Ma qui l’elemento innovativo si aggancia all’arrivo della figlia della colf che disorienta la famiglia, minaccia le relazioni consolidate, ne svela le ambiguità. La regia e la prospettiva da cui seguiamo la vicenda è inconsueta perché è doppia, guarda sia la faccia sociale sia quella sentimentale della storia e apre domande difficili. La prima: la figlia della colf, adolescente istruita e determinata, deve sedere al tavolo della colf o al tavolo dei proprietari di casa? La figlia della colf, che non è una colf ma non è neppure parte della classe sociale dei datori di lavoro di sua madre, dove si colloca? in quali spazi della casa si può muovere? In piscina può bagnarsi? In quale stanza può dormire? Dove fa la colazione? I confini tra gli spazi della casa riflettono i confini tra i ruoli nella casa: chi può andare dove? Gli spazi e i ruoli, se non concordati, fanno a pugni e qualcuno si fa male. La seconda domanda, di natura relazionale, è mossa dai legami al femminile: la madre che ha sgobbato per mandare i soldi alla figlia ma che non l’ha cresciuta perché lavora in una città distante, è una cattiva madre? La figlia che non chiama mamma sua madre, che sfugge ai suoi abbracci e insiste a farle notare l’umiliante condizione di lavoratrice sottoposta, sottomessa, subordinata, è una cattiva figlia? E ancora: la datrice di lavoro, generosa e capricciosa, incapace di amare il figlio e il marito, è una donna malvagia quando si mette a invidiare la colf e sua figlia che invece si fanno amare facilmente dai maschi della casa? Ogni nervatura del paesaggio umano raffigurato presenta ombreggiature e sfumature di molte gradazioni. Non è facile rispondere con un monosillabo alle domande che penetrano il pensiero e lo mettono in azione. Le inquadrature restituiscono immagini delicate eppure insinuanti, come quelle della colf e del figlio della padrona di casa stesi sul letto, i corpi visti dall’alto in uno scambio di abbracci più forti di quelli che passano tra una madre e un figlio. La colf è una madre per il figlio della datrice di lavoro ma ha trascurato la sua di figlia; una catena di vuoti sono riempiti dall’affetto di supplenti di amore e creano invidie che trasudano da scene taglienti, dialoghi laconici, primi piani di occhi insicuri e zeppi di desiderio. Con uno stile animoso ed esilarante, senza alcun inserimento superfluo, ecco un film liscio e intelligente da indossare come fosse un abito che fa leva sulla essenzialità dei colori, sulla semplicità del taglio e sulla originalità del tessuto i cui fili meritano di essere seguiti per fissare da una visuale molto insolita una storia comune che guarda con coraggio alle lotte domestiche di potere tra identità femminili.
Cristiana La Capria
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