GLI EQUILIBRISTI
di Ivano di Matteo, Italia 2012, durata 100 minuti –
Sul filo della fame –
Rilancio la recensione di questo film che ritrae con poesia penetrante il profilo di molti padri separati che, ancora oggi, cercano una strada migliore.
A CHI: A docenti e genitori
PERCHE’: per osservare da un punto di vista maschile una storia di separazione come tante e le sue immancabili conseguenze sui figli, sulle figlie e – soprattutto – sui loro padri.
IL FILM*: Fa soffrire vedere un uomo senza sguardo che vaga in mezzo alle luci anonime della città. Con le mani in tasca, le curve irrigidite del corpo sottile, la fronte spinta in avanti dalle preoccupazioni, le gambe pesanti che cercano equilibri perduti del tutto.
Perché lui, lasciato dalla moglie, deve separarsi fisicamente da lei e quindi dai figli, deve abbandonare lo spazio comune, viene messo fuori dalla porta. Fuori. Una storia che inizia da una fine, una delle tante che di questi tempi mette in bilico l’eterno legame promesso al matrimonio. Ma l’interesse non punta alla relazione ed ai suoi cattivi esempi, poco importa come e perché sia scattata la crisi coniugale; ad importare, anzi a preoccupare è proprio ciò che inizia dopo la fine del matrimonio.
Il ritratto dell’evento è talmente quotidiano da parere un documentario: i litigi tra i coniugi, il pianto dei figli, il distacco, la ricerca per lui di un altro posto dove stare per ricominciare.
La bellezza del film sta nel lento progredire della fame vasta, sempre più vasta di un seppure minuscolo stato di benessere. Perché lui, il marito, che fa l’impiegato alla poste, non ce la fa a reggere il peso economico della separazione, non ha i soldi per permettersi un buco dove dormire, a stento mette tra i denti un pezzo di pane. Le immagini parlano davvero tanto e lo fanno con la dura delicatezza dei primi piani del volto del protagonista, il suo “paesaggio dell’anima” come direbbe Edgard Morin, ci porta lentamente nel più buio dei tunnel, quello dove la mancanza del necessario a vivere taglia le gambe al desiderio, all’identità, ai legami. Questa è una visione sociale postmaterialista; hai voglia a parlare di ipotesi, di scelte, di astrattismi, qui se non si mangia non si pensa e non si ama: la durezza degli occhi dell’uomo, ormai fuori traccia, non viene ammorbidita neppure dal grido della figlia, dal suo amore che implora. Lo svuotamento del sé, l’intorpidirsi degli organi del sentire fa riflettere. E ancora poco importa che la regia preferisca dare alla storia un happy end – che forse salva l’emotività straziante dalla tragedia. Importa che queste immagini su uno dei malesseri sociali del nostro tempo, sanno essere poetiche. Da vedere per viaggiare nel cupo corollario delle separazioni.
Cristiana La Capria
*la recensione è stata pubblicata in Pedagogika.it , n. 1, anno XVII, pp. 11-112
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