-di Leonardo d’Agostini, Italia 2019, durata 105 minuti –
Il troppo svuota …
A chi?
Agli adolescenti (dalla terza media in su) che hanno nel sangue il mito dei calciatori.
Perché?
Per sentire dentro di sé il vuoto che si nasconde dietro il sipario di una vita fatta di ville, macchine e fama e sentire sulla pelle che la ricerca della felicità va fatta altrove.
Il film
Christian è un fenomeno. Sa usare i piedi perfettamente e, dentro al campo, fa andare la palla dove vuole lui. Ma è una peste. Terribile. Rabbioso, indisciplinato. Tra testate agli avversari e fughe dai negozi con la refurtiva strappata dalle mani delle commesse, ha raggiunto il massimo del sopportabile. La società crede che l’ultima occasione sia pagare profumatamente un insegnante che gli faccia lezione ogni giorno per prepararlo a affrontare gli esami di maturità, in questo modo potrebbe controllare la sua rabbia esplosiva. Il docente, con una vita disfatta, si mette in pista, ma costruire un canale di incontro con il ragazzo è quasi impossibile.
I temi
La passione e l’attitudine, quando raggiungono il picco nella performance perfetta, trasformano il calcio in una professione che trascina il giocatore in uno stato di euforia permanente, distante dalla realtà, assuefatto ai soldi, al successo, all’eccesso. La seduzione della fama è qui esibita in modo eloquente, cattura lo sguardo di chiunque. Eppure, il tanto, il troppo non riempie mai. Il vuoto dentro non ha fine e tanto più aumenta il livello del riconoscimento pubblico tanto più la voragine affettiva si allarga nel privato. Quello che si vede conta fino a un certo punto, ma il calciatore non lo sa. Il docente esprime la passione per il pensiero, il sapere, lo studio. Lo scontro tra i due è inevitabile. Ma in qualche strano modo il giovane irruento e atletico e l’adulto depresso e sapiente si conoscono, sfiorano le reciproche debolezze. Il cambiamento arriva.
Lo stile
Asciutto e senza virtuosismi rimbombanti, il film offre allo sguardo il fascino della giovinezza piena, fatta di muscoli e tendini che risaltano sul corpo di un atleta che vive il movimento assoluto, senza mai pensare, però, perchè fa troppo male. E questo arriva tramite gli sguardi, il portamento, l’abbigliamento, i gesti che raccontano una storia come tante proprio con il linguaggio di una storia tra tante, senza fronzoli e senza forzature. La delicatezza del dolore viene messa in luce, il lato non addomesticato della sofferenza risalta in modo tenue, il comportamento difficile è il segno che lascia solo intravedere il cono buio di un passato faticoso. La forza della relazione che ripara le ferite è un tema antichissimo, per fortuna. Lo stile di questo film e i suoi nodi narrativi ricordano “Scialla,” film italiano che pure è stato capace di dare tanto risalto al potere curativo della relazione. Di film così ne servono tanti, non saranno mai troppi.
Certo, a questo punto va comunicato che il campione del titolo gioca nella squadra della Roma. Ma io tifo Napoli. Eppure sto scrivendo le lodi del film. Ho detto tutto.
Cristiana La Capria