INTERVISTA A CRISTINA GAMBERI: LA SFIDA DEGLI STUDI DI GENERE A SCUOLA
Cristina Gamberi si occupa di studi di genere presso il Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture moderne presso l’Università di Bologna. E’ dottore di ricerca in studi di genere presso l’Università di Napoli Federico II e ha ottenuto un Master in Women’s and Gender Studies presso l’Università di Hull. Si occupa di studi di genere, scrittura femminile, cinema e educazione. Oltre ai saggi accademici, Cristina Gamberi ha pubblicato “L’approccio di genere nella relazione educativa” e con Melchioni “Identità di genere e bullismi. Alcune riflessioni su cosa fare”, entrambi recentemente apparsi su Pedagogika.it
Cristiana La Capria
Benvenuta sul nostro blog. E’ un vero piacere ospitarti qui da noi. Vorrei cominciare con il chiederti di introdurci il Progetto Alice di cui fai parte.
Cristina Gamberi
Il progetto Alice è un’associazione per la promozione sociale che nasce a Bologna nel 2004 con l’obiettivo di promuovere l’educazione e la ricerca sull’identità di genere. L’associazione nasce dall’idea di un gruppo di giovani donne con l’esigenza di impegnarsi in prima persona nel campo educativo per valorizzare le differenze e promuovere una cultura attenta agli aspetti socialmente costruiti della nostra identità maschile, femminile, transgender, ecc. Abbiamo iniziato organizzando corsi e seminari nelle scuole con ragazzi e ragazze adolescenti, utilizzando metodologie attive e non frontali. Nel tempo Il progetto Alice è cresciuto e ora svolgiamo anche corsi per insegnanti sui temi dell’ identità di genere, la trasmissione dei saperi in ottica di genere, la violenza, il bullismo e le pari oppurtunità. Stiamo inoltre portando avanti numerosi progetti europei con istituzioni e reti di donne attive su questi temi; nel 2010 abbiamo pubblicato un libro intitolato “Educare al Genere. Riflessioni e strumenti per articolare la complessità” edito da Carocci; dal 2013 curiamo un rubrica trimestrale sulla rivista Pedagogika.it e infine ci stiamo impegnando nelle scuole elementari e nella didattica di genere con bambini/e. Crediamo che l’educazione al genere equivalga a creare consapevolezza e rispetto per quelle differenze che incidono profondamente nelle nostre vite, ma che molto spesso sono dimensioni trascurate, il più delle volte rese invisibili, in casi estremi oggetto di discriminazione. Parlare della dimensione socialmente costruita dell’identità di genere, fare informazione sull’orientamento sessuale in classe, significa poter cambiare la mentalità che è alla base di forme di violenza come il femminicidio, la subordinazione e la discriminazione delle donne sul lavoro e in famiglia, la marginalizzazione delle donne nella vita politica, l’omofobia e il bullismo, la lesbofobia e la transfobia.
C. La C.
Voi come associazione lavorate anche con le scuole. Mi racconteresti una delle vostre esperienze in merito?
C.G.
Ogni anno svolgiamo vari progetti nelle scuole quindi è difficile sceglierne uno. Forse l’esperienza che ancora oggi utilizziamo per modellizzare i nostri interventi educativi risale al 2008-2009, quando al Liceo classico Minghetti di Bologna abbiamo realizzato “Genere: Istruzioni per l’uso” grazie a un finanziamento della Presidenza del Consiglio per la promozione della cultura di genere nelle scuole. In questa occasione abbiamo realizzato un corso sull’identità di genere rivolto ai docenti; abbiamo tenuto un ciclo laboratoriale rivolto a studenti/esse; abbiamo creato un video intitolato ‘Questioni di genere’ che, come un diario di un laboratorio, racconta la presa di consapevolezza di un gruppo di adolescenti sui temi della violenza, l’orientamento sessuale, le discriminazioni lavorative. Tutto il materiale del progetto è confluito in un blog, ed è stato realizzato un manuale rivolto a insegnanti per integrare la prospettiva di genere nei programmi scolastici ed infine abbiamo fatto una conferenza. Si è trattato di un lavoro di un anno, ma ancora oggi usiamo questa formula. Molti dei materiali sono disponibili online sul nostro sito: http://ilprogettoalice.wordpress.com/
C. La C.
In Francia da quest’anno inizia il programma “ABCD dell’uguaglianza” a partire dalla scuole elementari fino alle superiori, con l’obiettivo esplicito di “decostruire gli stereotipi di genere”. Alcuni hanno definito l’iniziativa francese un po’ troppo “integralista”. Tu cosa ne pensi?
C.G.
Credo che sia un’iniziativa lodevole, se consideriamo il livello di diseguaglianza di fatto (e non formale) che esiste ancora fra uomini e donne in molti paesi europei, nell’ambito della rappresentanza politica così come nell’accesso al mercato del lavoro, nella sfera della rappresentazione mediatica fino all’uso del linguaggio sessista. Per questo motivo è necessario che anche l’educazione si faccia carico di decostruire gli stereotipi di genere. Il recente rapporto Eurydice mette in evidenza come l’Italia sia purtroppo fra i Paesi europei ancora sprovvisti di politiche significative in materia di parità nel campo dell’istruzione. Lo stesso rapporto afferma anche che il contesto italiano sia rimasto più indietro rispetto ad altri paesi europei nel munirsi di linee guida chiare per gli/le insegnanti e sulle materie insegnate. E’ quindi necessario iniziare a pensare a provvedimenti strutturali che riguardano i temi dell’identità di genere e l’uguaglianza fra i sessi in tutti gli ordini di scuola. Detto questo, è importante sottolineare come a fare la differenza è la modalità in cui vengono svolte queste attività. Se il tema dell’uguaglianza diventa una materia a sé stante, si corre il rischio di farla diventare un argomento istituzionale a cui viene sottratta quella spinta critica che la contraddistingue. E’ invece importante svelare l’ubiquità degli stereotipi e delle discriminazioni in tutti campi del sapere ed è altresì necessario denunciare le forme di emarginazione che, intersecandosi con la dimensione del genere, producono discriminazioni multiple. Sto pensando alla classe sociale, al background culturale, all’appartenenza religiosa, all’orientamento sessuale, ecc.
C. La C.
Perché in Italia non accade nulla di simile?
C.G.
Mi sembra che a vari livelli manchi la volontà politica di prendere in seria considerazione questi aspetti che sono così essenziali nelle nostre vite, ma che vengono considerati superflui. Credo inoltre che si abbia molta paura a mettere in discussione lo status quo. Rivedere gli stereotipi di genere significa affrontare i ruoli socialmente ammessi e ripensare le nostre relazioni quotidiane. Non è un approccio facile.
C. La C.
Nelle mie classi io lavoro con studentesse e studenti alla decostruzione degli stereotipi di genere presenti nei testi scolastici – e non solo – che ingabbiano il desiderio in caselle rigide di comportamento. Ma la mia è un’iniziativa individuale; non esiste una sensibilità comune da parte delle colleghe, meno che meno dei colleghi. Questo indebolisce la mia pratica e credo che questo sia uno dei maggiori ostacoli alle iniziative educative di questo tipo. Tu cosa ne pensi?
C. G.
Ritengo che la natura politica dell’attività del Progetto Alice non sia solo da ricercare nei temi che affrontiamo, né nell’orizzonte trasformativo a cui miriamo, né unicamente nei modi attraverso cui abbiamo realizzato i nostri progetti educativi. La spinta politica risiede anche nella dimensione collettiva e condivisa dei saperi che produciamo e dei corsi che portiamo avanti. Senza questa dimensione collettiva e politica non ci sarebbero stati quel sostegno reciproco e quella crescita che ci ha fatto fare tanto. A contraddistinguere il nostro lavoro collettivo è stata anche la scelta di fare rete con altre associazioni e istituzioni che operano in contesti simili al nostro, consapevoli del fatto che l’interdisciplinarietà e la ricchezza di prospettive è essenziale per comprendere la complessità del mondo. E’ per questo che negli anni abbiamo interpellato soggetti diversi, nella speranza di sollecitare la costituzione di una massa critica.
C. La C.
Quanto la discriminazione di genere influenza l’identità sessuale degli adolescenti?
C.G.
La dimensione di genere influisce nella vita di tutti, da quando nasciamo fino alla terza età. E’ chiaro che l’adolescenza e la prima giovinezza sono momenti cruciali nella costruzione del sé nel corso del quale si gettano le basi di quel divenire uomini e donne che prenderà forma con il passare degli anni. L‘adolescenza è inoltre cruciale per quella ridefinizione identitaria che ogni ragazzo e ragazza si appresta a fare nei confronti della famiglia, della scuola e del gruppo dei pari. E’ anche importante tenere in considerazione le agenzie di socializzazione secondaria, come per esempio i media, che costituiscono un potente dispositivo nel trasmettere modelli di genere che molto spesso attingono a un serbatoio di ruoli fortemente stereotipati. Io al momento non ho a disposizioni dati né ricerche sull’identità sessuale degli adolescenti in Italia. Ma come anche altre persone, mi interrogo sulle forme di esclusione ed emarginazione che colpiscono molti ragazzi/e che vivono questo disagio. Penso ad esempio al bullismo omofobico. E’ necessario che tutti adottiamo un approccio educativo che coinvolge gli adulti che hanno un ruolo attivo nella relazione coi ragazzi (genitori compresi) la cui mission è quella di promuovere un clima rivolto al mutuo aiuto, alla valorizzazione delle differenze e alla concreta analisi degli episodi di bullismo.
C. La C.
Noi di questo blog produciamo lavori di riflessione sui linguaggi di genere veicolati dai testi culturali e dai mezzi di informazione e di comunicazione. Recensiamo libri, film, video, fumetti che propongano prospettive sulle relazioni tra i generi alternative a quelle dominanti. Avresti un nuovo titolo da suggerirci?
C. G.
Ho letto con grande interesse il recente studio di Giuseppe Burgio “Adolescenza e violenza. Il bullismo omofobico come formazione alla maschilità”, edito da Mimesis edizioni. Il volume suggerisce che il bullismo, e in particolare il bullismo omofobico, sia al contempo uno strumento e una tappa ‘obbligata’ per costruire l’identità maschile in adolescenza. Il bullismo è letto come un modo per costruire la virilità, per dare forma a un’immagine di se’ che corrisponde all’ideale normativo del saper essere un ‘vero uomo’. Secondo Burgio, il bullismo è un dispositivo di formazione della maschilità laddove il comportamento violento cerca di ristabilire rapporti di forza impari – che sono stati messi in discussione dai lenti ma inesorabili cambiamenti sociali – fra coloro che si sentono i veri ragazzi eterossesuali e tutti quelli che non si adeguano a questa norma. La norma ancora molto diffusa e condivisa è quella in cui la maschilità è vista come dominio e la sessualità maschile come strumento di soppraffazione, costrizione e inganno dell’altro.
C. La C.
Quali sono i vostri progetti futuri o le iniziative in preparazione che potrebbero essere di interesse per le scuole che ci seguono?
C. G.
Stiamo per partire con una sperimentazione in una scuola elementare di Milano che ci ha contattato alcune settimane fa. Il progetto si chiama “Mettiamoci in gioco. Ciclo di interventi elementari nelle classi elementari” e mira a esaminare l’identità di genere e gli stereotipi più diffusi attraverso il gioco e la narrazione. Il corso prevede un percorso di accompagnamento agli insegnanti su questi temi, e un incontro finale di discussione e valutazione delle attività e delle reazioni dei bambini e delle bambine con le insegnanti ed i genitori. A caratterizzare il corso sarà ancora una volta l’adozione di una metodologia attiva basata sull’uso di giochi (cooperative e equality games), materiale cartaceo, video e l’uso di storie e spunti narrativi; si interagirà singolarmente, a coppie e in gruppi.
C. La C.
Per concludere ci diresti due parole con cui poter invitare chi insegna a scuola ad interessarsi alle questioni di genere?
C. G.
Svelare la natura culturalmente appresa della nostra identità di genere, denunciare le relazioni di potere asimmetriche fra uomini e donne, costruire rapporti basati sul rispetto e la reciprocità non è un approccio comodo e non è una sfida semplice. Per portare avanti un percorso sull’identità di genere è necessario costruire un momento di autoriflessione interna sui propri stereotipi e pregiudizi, saper analizzare il proprio stare in classe, essere consapevoli dell’importanza del linguaggio sessuato che parliamo tutti i giorni, ma anche accorgersi dei nostri silenzi. Adottare questa prospettiva significa però riuscire a vedere dinamiche del gruppo classe che altrimenti ci possono sfuggire; vuol dire poter lavorare sul curriculum nascosto; significa poter rielaborare i saperi che trasmettiamo per includere quei soggetti esclusi o emarginati dal canone. Ma significa soprattutto creare uno spazio protetto e inclusivo dove ciascuno/a abbia la libertà di trasgredire i modelli di genere dominanti.
Cristiana La Capria