La figlia unica e felice

da Cristiana La Capria

Tanto tempo fa chi non aveva né fratelli né sorelle era triste. Diceva che non poteva giocare con nessuno, si annoiava di passare la maggior parte del tempo in compagnia di adulti che facevano discorsi troppo lunghi e seri. Si inventava qualunque strategia per riempire le ore lontane dalla scuola: leggere, simulare dialoghi immaginari, costruire edifici con i lego, disegnare. Di solito risultava un soggetto facile da identificare: o era tendente alla pura introversione, con scarsa propensione a condividere i  propri beni con la compagnia oppure si distingueva per spiccate doti relazionali necessarie a sopravvivere alla solitudine.

Per il senso comune si trattava di un soggetto viziato. Comunque fosse, la figliunicità era avvertita come un intoppo, una sfortunaccia. Anche perché allora era una condizione parecchio meno frequente di oggi. Quindi potere dividere la propria condizione di solitudine con altri soggetti  con una situazione simile era più raro, più difficile era riuscire a unire le forze di due solitudini: in spiaggia i fratelli o le sorelle giocavano tra loro a spruzzarsi l’acqua, mentre l’unico/a stava lì, in disparte, con la sua paletta a scavare fosse infinite sotto l’ombrellone.

La prole è sempre di meno a causa dell’imponente crisi economica che rallenta la sistemazione della coppia e ciò provoca un ritardo del desiderio di allargare la famiglia il che, per il ciclo biologico della donna, è spesso fatale. Quindi o non si partorisce affatto o se ne fa uno o una. Molte mie alunne sono figlie uniche. Loro però, diversamente che in passato, dicono di essere felici. Mai e poi mai vorrebbero accanto un fratello o peggio una sorella con cui dovere litigare per conquistare qualsiasi cosa: loro hanno la propria camera da letto, le attenzioni dei genitori, i vestiti, il telefonino. Che fa loro compagnia, le fa divertire tanto, è diventato il loro grande amico, o dovrei dire il loro“grande fratello”? Se lo coccolano, lo portano ovunque, lo usano per messaggiare, per ascoltare musica, anche per specchiarsi gli occhi mentre si mettono l’ombretto. A loro il cellulare serve per contattare le amiche e i “tipi” quando ne hanno voglia. Ma non esiste proprio avere altri impicci tra i piedi. Stanno bene da sole, la compagnia la hanno all’occorrenza e il cellulare in questo aiuta parecchio, ma in casa meglio sole che male accompagnate. Loro, diversamente che in passato, non le riconosci da un segno evidente del comportamento: possono essere più o meno riservate o più o meno socievoli, come le altre, come quelle che hanno un fratello o una sorella e come le altre hanno il cellulare.

Allegre, dunque, care nuove figlie uniche del nostro vecchio occidente: potete avere tutto per voi, non dovere per forza imparare a dividere il cibo e il tetto con i vostri o vostre pari. Siete fortunate, siete libere! Anche se non riuscite a staccarvi neanche un minuto dal vostro piccolo “grande fratello” cellulare…

Cristiana La Capria

Insegna appassionatamente lettere in una scuola secondaria di secondo grado. Si interessa di pedagogia delle differenze e studia il potenziale educativo di cinema e narrativa. Si occupa di formazione degli insegnanti. Scrive saggi e ultimamente testi di narrativa.

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