– di Agostino Ferrente, Italia 2019, durata 1h 16m –
Il muro senza mare
A chi?
A chi se la sente – e farebbe bene – di scavalcare il muro del Rione Traiano di Napoli per trovarsi faccia a faccia con un panorama umano senza ossigeno, che vorrebbe correre ma non ha fiato.
Perché?
Per conoscere gli umori di un posto con una storia dura, di un quartiere che grida giustizia per la morte di Davide Bifolco, sedicenne incensurato a cui un carabiniere nel 2014 sparò per sbaglio davanti agli occhi di tanti, anche quelli di Alessandro e Pietro, con sedici anni addosso, già tante porte chiuse alle spalle e un mondo dentro che vuole uscire allo scoperto.
La storia
Il regista Agostino Ferrente visita il rione dove fu ammazzato Davide da un carabiniere che lo aveva scambiato per un latitante. Il carabiniere fu condannato a 4 anni di carcere, ridotti a 2, poi sospesi. Bisogna capire cosa è accaduto attraverso gli occhi di chi ha assistito. Alessandro Antonelli e Pietro Orlando c’erano quel giorno, conoscevano Davide. Così loro diventano gli autori, raccontano pezzi di quotidiano che si dibatte tra le pareti di appartamenti asfittici, nel cortocircuito di cortili di asfalto e marciapiedi vuoti. La loro amicizia, fatta di lacrime e abbracci, spicca in un deserto sociale, da dove la cura e la legalità sono state sfrattate.
I temi
O si precipita in una vita criminosa, o ci si arrabatta facendo lavoretti faticosi e poco retribuiti. O si rischia la morte o la galera. Il diritto all’istruzione è stato censurato, nessuno dei giovani abitanti del quartiere si può permettere di andare a scuola. Pietro spera di diventare barbiere e nel frattempo riempie il vuoto con il cibo e la compagnia di Alessandro che invece fa il barista, non ha preso lo scivolo della malavita, guadagna pochissimo e pensa che a Posillipo, da grande, non si potrà mai permettere di abitare, ma a questo non ci vuole neppure pensare, per non soffrire. Il primo piano di ragazze dai capelli lunghissimi e setosi ci fa sapere che il loro sogno è che i futuri mariti non finiscano in carcere, come è successo ai loro papà. Intanto per strada un paio di bambini, invece di andare in quarta elementare, ti fissano con occhi nerissimi e non chiedono altro che poter fumare una sigaretta.
Lo stile
Questo è un documentario che ci racconta la storia di un posto dove il mare non arriva, ma l’ingiustizia sì. Lo fa dandoci del tu, facendoci entrare nella pancia delle abitudini, delle credenze, dei valori di un mondo giovane che lotta, perde, si rialza. Il selfie non se lo fanno Alessandro e Pietro, loro non sono comuni narcisisti, loro girano per il quartiere, con lo schermo del telefono appiccicato ogni santo secondo per parlare di fatica e disagio. Questo è il selfie di una generazione che nessuno vuole guardare, quindi chiede a noi di farlo. Altrimenti continuerà a trovarsi addosso quel muro alto e, pensando a Leopardi, immaginare, solo immaginare, l’infinito possibile.
Cristiana La Capria