– di Paolo Genovese, Italia, durata 1h45 m.-
Sei tu che scegli
A CHI? A chi, da adulto, affoga nell’insoddisfazione esistenziale e nell’indecisione.
PERCHE’? Per dare spazio visivo al dialogo interrogante che spinge alla scelta.
- IL FILM: Dall’alto è inquadrato un nudo tavolo rettangolare, grigio glaciale, spinto in fondo a un locale che serve da mangiare piatti freddi. Il tavolo è ”the place”, il posto, il palcoscenico intorno a cui vanno a sedersi donne e uomini per realizzare un desiderio. La suora cerca Dio, il padre cerca il figlio, il cieco cerca lo sguardo, la ragazza cerca la bellezza, la moglie cerca il marito. Di fronte a loro sta lui, l’uomo che raccoglie le richieste, ne scrive brani sul taccuino nero, propone accordi: se vuoi ritrovare Dio devi avere un figlio, se vuoi ritrovare il figlio devi pestare a sangue un uomo, se vuoi salvare il bimbo malato devi uccidere una bambina, se vuoi la bellezza fai una rapina. Di fronte alla richiesta il richiedente sobbalza, freme, indugia, va, poi ritorna in un valzer di contorcimenti interiori; la potenza del dilemma morale fa vacillare le coscienze, in bilico evidente tra il bene e il male. Perché devo fare questo? Non farlo. Perché devo fare proprio questo per te? Non fai niente per me, ma per te. Sei tu che decidi. Il corpo a corpo con l’uomo del taccuino, fermo, attaccato alla sua sedia, senza neppure un accenno, uno slancio rapido verso la posizione verticale, viene restituito da un equilibrato gioco di primissimi piani da cui riverberano sguardi funestati dalla paura di scegliere, annebbiati dall’inettitudine, sguardi in agonia esistenziale. Le vite degli altri si incastrano reciprocamente, la trama che l’uomo del taccuino cuce è in grado di collegarle tutte. Quello che si toglie a una va all’altra in una spirale in cui tutti dipendono da tutti. Dentro al chiuso di un non-luogo, di uno spazio avido di anonimato, passano e si raccontano le vite degli altri che entrano e escono e poi ancora entrano attraverso quelle porte a vetro che si aprono e si chiudono con un meccanismo sempre uguale, come uguale è la speranza, inutile, di trovare nello sguardo dell’uomo del taccuino un residuo di complicità, di tenerezza. L’uomo, così severo, eppure malinconico, così imperscrutabile, così concentrato, non si lascia toccare, non si vuole presentare, non si fa nominare. Chi è? Mago. Demonio. Coscienza. Inconscio. A tu per tu con quelle ombre anche nostre, osserviamo, inquieti e incerti pure noi, il dialogo con la responsabilità. Una favola, una poesia filosofale che ti chiama a dire la tua, a identificarti sotto la spinta dei desideri e di quanto faresti e non faresti per assecondarli. In un’epoca che osanna al desiderio di onnipotenza, che incita alla megalomane rincorsa alla soddisfazione immediata del singolo, ecco un film che, con misurati equilibri formali e valide interpretazioni, mette in campo il valore della scelta e delle inevitabili ricadute sull’altro. Da vedere anche per godersi Valerio Mastandrea che, con soave mestizia, mette a nudo l’altra faccia di noi.
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