TITO E GLI ALIENI

– di Paola Randi, Italia 2018, durata 92 minuti-
-Il ritorno, per un attimo-
A CHI? Ai giovani dai dieci anni in su e agli adulti fino a oltre i cento anni spinti dalla curiosità di fare amicizia con il tema della morte in modo poetico.
PERCHE’? In un’epoca che rimuove l’esperienza della morte, è necessario imparare a vivere la perdita e il distacco da chi si ama lasciandosi guidare da una storia intelligente.
Il Film
È un film che si mette addosso il genere fantasy e anche quello fantascientifico e poi si presenta facendo l’inchino tipico delle fiabe. L’osso della storia è lineare: un uomo che fa lo scienziato in Nevada per conto della Nasa, riceve dal fratello in punto di morte un videomessaggio con cui gli fa sapere che gli lascerà in eredità i suoi due figli, già orfani di madre: una saggia adolescente e un curioso ragazzetto. I due minori, Tito e Anita, arrivano dritti dritti da Napoli aspettandosi il paradiso, invece si trovano nel bel mezzo di un posto desolato.
La scenografia
Al centro del Nevada desertico, asfissiato di sabbia rossa che ammanta una distesa sconfinata di rocce assolate, campeggia una tenda sferica di plastica bianca, una roulotte e di fianco un divano consumato che punta a mezzogiorno. Lo scienziato, chiamato professore, è immerso in una tuta dello stesso colore della tenda, vive nel silenzio assoluto, rotto solo dal rumore dello spazio che un sistema radio consente di captare. Nella cassetta della posta viene consegnata una busta che arriva da Napoli, il mittente è il fratello. Si tratta di un VHS, un cimelio degli anni Ottanta che il professore si guarda sul suo televisore scalcagnato. La notizia dell’arrivo dei nipoti lo stravolge, si mette a armeggiare nervosamente con un’antenna, una pistola a acqua, un cestello della lavatrice, mezzi che gli servirebbero per mettere a punto il suo progetto di ricerca. Ma, quando arrivano sul posto, a essere stravolti dal paesaggio surreale sono proprio i nipoti.
I personaggi
Anita e Tito hanno un riconoscibile accento napoletano, né particolarmente belli, né simpatici. Il punto di attrattiva sta nel loro potere di incarnare la nostalgia per la mamma e soprattutto per il papà. Li hanno persi e li vogliono vedere, ci vogliono parlare. Almeno per un minuto. La voglia di allacciarsi ai genitori è enorme. La esprimono, la gridano. Chiedono attenzione e aiuto allo zio squinternato, lui che sa far funzionare la macchina per lo spazio, può far tornare mamma e papà. Ma la comunicazione tra zio e nipoti è appannata. I due sono troppo esuberanti per lo scienziato solitario, che passa il tempo steso sul divano a contemplare la figura immaginaria della moglie morta mentre Stella, una sua assistente che organizza matrimoni con gli alieni come ospiti d’onore, è il suo unico contatto con la realtà. Quattro figure unite per caso verranno spinte dalla voglia di cercare il fantasma di quelli che amano. Il professore toglie le catene alla sua inventiva e, invece che assecondare il progetto degli Stati Uniti, si mette all’opera per aprire un varco verso un’altra dimensione.
Perché vedere il film
Nell’era ipertecnologizzata, ci piace vedere un film di fantascienza dove la macchina del tempo assomiglia a un jukebox, le anime arrivano dallo spazio su di uno schermo cinematografico anni Settanta.
E soprattutto ci piace vedere un film che parla al cuore della vita, racconta la morte senza giri di parole e senza voli pindarici. Dipinge con le mani di un bambino la nostalgia, quella voglia matta di fare tornare la forza di quelli che se ne sono andati dal mondo dei vivi. Quella forza torna. La vediamo allo schermo, la sentiamo al telefono. Il contatto con quella dimensione lo avvertiamo, almeno per un attimo. E capiamo che davanti alla morte gli alieni siamo noi, non lei.
Cristiana La Capria